Tutti
quelli che hanno navigato in Mediterraneo, di certo almeno una volta,
hanno pensato di ripercorrere una rotta d'Ulisse, o d'aver calcato,
emozionandosi, una terra in cui il sandalo del magnanimo re di Itaca,
aveva lasciato la sua impronta.
Navigare
tra le isole del Mediterraneo immaginando di ricucire rotte e
racconti dell'Odissea è sempre stato per me un emozionante gioco,
reso ancora più avventuroso, quando spintomi più lontano potei
risalire le pendici dell'acropoli di Troja, e dall'alto di quello che
restava della città di Priamo, vidi i due fiumi; lo Scamandro a
sinistra e il Simoenta a destra, e mi parve di scorgere, laggiù
verso la spiaggia; le nere navi achee tirate in secco, il
biancheggiare delle tende dell'accampamento e il levarsi dei fumi dei
fuochi sacrificali.
Fui
profondamente emozionato al pensiero che stavo guardando quello
scenario dal medesimo punto in cui Andromeda seguii lo sfortunato
scontro del suo sposo col furioso Achille!
Mi
capitò anche, come immagino a tanti altri, di cercare le tracce
degli amori tra la leggiadra ninfa Calipso e l'astuto eroe, nella
piccola grotta sull'assolata Gozo, o in quella più vasta di Sateria
sulla pietrosa Pantelleria.
Diedi
fondo all'ancora nella rada dell'isola di Itaca, dove sbarcò
Telemaco di ritorno dalla sua missione alla magione del prudente
Nestore e alla reggia del biondo Menelao, convinto di ricalcare le
orme del figlio del ramingo Ulisse!
Ebbene
ho appena letto un libro: Omero
nel Baltico
di Felice Vinci che ha messo in crisi le mie convinzioni, anche se
ben sapevo che non potevano essere assolute certezze, mi davano
tuttavia un quadro credibile in cui veder muovere i personaggi che
emergevano dal mondo omerico.
Certo
girando per il Mediterraneo alla ricerca delle tracce d'Ulisse, i
dubbi che m'assillavano erano sempre tanti: difficile fare collimare
le annotazioni geografiche, sempre confuse e discordanti con la
geografia del Mediterraneo, che per altro Omero descrive sempre cupo
e burrascoso, mentre io nel periodo estivo ero abituato a vedere
sereno e blu, anche nelle più furiose sventolate da Maestrale,
o nell'imperversare del Meltemi
in Egeo. Ho sempre pensato, però, che le avventure d'Ulisse
fossero una opera prevalentemente di fantasia, che forse riuniva
diverse leggende dell'area mediterranea; quindi le incongruenze non
mi disturbavano molto.
Le
vicende narrate nell'Iliade, che inoltre non pare opera del medesimo
autore, mi sono, invece, sempre parse più vicine alla storia, e per
questo non ebbi sensazioni di scollamento quando risalii le pendici
d'Ilio.
Ora
è arrivato, almeno per me, poiché da altri era già da tempo
conosciuto, Felice Vinci a ribaltare tutto e a catapultare le
avventure omeriche niente meno che nel profondo nord nel - e qui ci
sta un aggettivo omerico - “livido”
Mar Baltico!
Basta
dunque cercare d'immaginare il proprio eroe, veleggiare sulle azzurre
acque del Mediterraneo, intrattenere dolci amori con Circe e Calipso
sotto un terso cielo, percorso da soffici batuffoli di bianche nubi,
e sbarcare nella riarsa Itaca assordato dal frinire delle cicale;
Felice Vinci mi dice che tutto questo non è vero e debbo cambiare
radicalmente lo scenario delle mie fantasticherie!
L'autore
di Omero nel Baltico, nel suo interessante libro, che deve
essere letto perché è impossibile riassumerlo in poche parole, ci
spiega il percorso che ha compiuto per arrivare a ricostruire una
geografia omerica nel Mar Baltico.
Tutto
ha avuto inizio da un affermazione di Plutarco (storiografo
greco-romano del primo secolo dopo cristo. n.d.a.)
il quale asseriva che l'isola di Ogiggia si trovava nell'Atlantico
del nord a cinque giorni di navigazione verso occidente (Ovest) dalla
Brittannia, e che quelle isole erano abitate da genti greche.
Prendendo per vero questo presupposto, l'Autore ha identificato le
isole nell'arcipelago delle Faerøerne,
come le più probabili, e nell'attuale Sodhuroy,
che è la più esterna verso sud est, l'isola di Calipso.
Da
qui sembra verosimile che il multiforme Ulisse abbia potuto percorre
una rotta verso Est, tenendo sempre l'Orsa maggiore a sinistra
secondo i consigli della stessa ninfa Calipso, per raggiungere la
montuosa costa dell'attuale Norvegia, e poi discendere “abbracciato
a un tronco”
verso Sud, sospinto dal favorevole vento da Borea
( Nord
), inviatogli dalla provvida dea dagli occhi turchesi, fino alla
terra dei Feaci.
(
È
vero che Omero indica sempre come terra, e mai come Isola il regno di
Alcinoo costruttore di navi. n.d.a.).
Qui giunto. Ulisse, riuscirà finalmente a prendere terra alla foce
di un fiume che “ritirerà
l'onde”,
che prima lo respingevano inesorabilmente al largo, e verrà trovato
dalla soccorrevole Nausicaa che, premurosa, lo farà subito
ricoprire, dalle sue ancelle, con una tunica e una caldo mantello.
Secondo
Vinci il ritiro delle onde del fiume corrisponde a una "stanca
di marea", fenomeno ben noto nei mari del Nord e poco
appariscente in Mediterraneo, e Nausicaa fece ricoprire il vigoroso
naufrago, non tanto per celarne la nudità, ma piuttosto per
proteggerlo dal freddo. Vinci ritiene, inoltre, perfettamente
compatibili i diciassette giorni di navigazione, di cui due alla
deriva abbracciato al tronco, impiegati da Ulisse per raggiungere la
terra dei Feaci dall'isola di Calipso.
TAV
1- Luoghi omerici nel Baltico e Mare del Nord
"Per
diciassette giorni navigò traversando l'abisso,/ al diciottesimo
apparvero i monti
ombrosi/
della terra feacia: era già vicinissima,/ sembrava come uno scudo,
là
nel mare nebbioso"
Dalla
terra dei Feaci, che l'Autore colloca nella parte meridionale
dell'attuale Norvegia, individua in un arcipelago Danese posto tra la
Penisola dello Jutland e la grand isola di Fyøna, quello che più
verosimilmente assomiglia alla descrizione omerica:
"Abito
Itaca aprica: un monte c'è in essa,/ il Nerito sussurro di fronde,
bellissimo:
intorno
s'affollano/ isole molte, vicine una all'altra,/ Dulichio, Same
e
la selvosa Zacinto./ Ma essa è bassa, l'ultima là, in fondo al
mare,/ verso la
notte:
l'altre più avanti, verso l'aurora e il sole"
Cosi'
l'Autore trova la collocazione per le tre isole principali, Dulichio
(l'isola Lunga ), di cui in Mediterraneo, asserisce non esservi
traccia, Same, Zacinto e la piccola Lyø “verso
la notte”, appunto
la più occidentale, che parrebbe, anche corrispondere meglio alla
descrizione omerica dell'Itaca d'Ulisse.
TAV
2 Itaca mediterranea e Itaca baltica
Continuando
sulla falsa riga delle indicazioni fino a qui verificate, nel libro
si vedrà, come venga trovata una precisa collocazione a tutte le
località omeriche, arrivando fino a situare l'antica Troja in
coincidenza con un piccolo villaggio della Finlandia meridionale
Toija, i cui dintorni topografici s'avvicinano alla descrizione fatta
dall'autore dell'Iliade.
Giunti
a questo punto è inevitabile chiedersi come sia stato possibile che
i nordici Argivi omerici abbiano trasferito i loro toponimi e le loro
leggende dal brumoso Mar Baltico al solatio Mediterraneo?
Felice
Vinci ipotizza una grande migrazione verso sud, attorno al 3000 a.c.,
resa necessaria dall'avvenuto cambio climatico per cui le estreme
regioni nordiche abitate dalla popolazione achea, che fino a quel
momento avevano goduto di quello comunemente chiamato “optimum
climatico” divennero sempre più inospitali, spingendo queste
genti a scendere sempre più a sud fino a ritrovare un ambiente, il
Mediterraneo, simile a quello che avevano lasciato.
(nota:
la climatologia situa tra il 10.000 e il 4000 a.c. un periodo in cui
le temperature medie erano più alte di 2-3° rispetto a quelle
attuali; il raffreddamento divenne più marcato a partire dal 3500
a.c. e il periodo dell'Optimum
climatico, è
considerato finito nel 3000 a.c. n.d.a.)
La
storiografia non è ancora riuscita a definire in modo inequivocabile
la provenienza del popolo Acheo, che occupò la penisola del
Peloponneso attorno al 1500 a.c., e si limita a definirli “una
popolazione indoeuropea”, ma Felice Vinci è persuaso che
arrivassero direttamente dalle regioni del Baltico e che trasferirono
le loro leggende e conoscenze nel bacino mediterraneo.
A
sostegno della sua tesi, il Vinci porta diverse considerazioni, tra
cui: la capigliatura bionda (sia Ulisse che Menelao sono
definiti da Omero biondi. n.d.a.), la dea Minerva ha gli occhi
azzurri, del resto è anche storicamente assodato che gli Achei
fossero biondi.
Fa
ripetutamente notare, inoltre, che l'ambiente climatico descritto nel
poema è ben lontano da quello mediterraneo: mare sempre cupo e
burrascoso, venti freddi, diffusissime le nebbie, descrizione di
fenomeni quali l'aurora boreale, i protagonisti si vestono con
indumenti pesanti e perfino folte pellicce, banchettano sempre
attorno a focolari accesi, tutti elementi che fanno pensare a un
clima ben diverso da quello abituale nel Mediterraneo, tanto più che
le vicende narrate dll'Odissea si svolgono nel periodo favorevole
alla navigazione; l'estate, che nell'antichità, era reputata l'unica
possibile per la navigazione.
Sarebbe
qui troppo lungo e dispersivo elencare tutte le ragioni argomentate
da Felice Vinci, che, ad esempio fa dei ragionevoli paralleli tra la
mitologia e le leggende nordiche e quelle del mondo acheo.
La
lettura di Omero nel Baltico è avvincente e per molti versi
convincente, anche se mancano ancora quei ritrovamenti archeologici
che potrebbero in modo definitivo ribaltare il mondo omerico dal
solare Mediterraneo al brumoso Mar Baltico.
Riflessioni
e dubbi
Molto
tempo fa, avevo già letto di un altra teoria che vedeva l'Odissea
ambientata tra le isole britanniche.
In
questo caso le peregrinazioni dell'astuto Ulisse prendevano le mosse
dal Mediterraneo, si dipanavano tra le isole britanniche, per poi
concludersi in Mediterraneo, e il racconto di Ulisse ad Alcino altro
non era che una narrazione cifrata per permettere, a chi possedeva la
chiave del codice, di ripercorrere la rotta da lui fatta per
rifornirsi del prezioso stagno; informazioni che l'astuto Ulisse non
voleva dare al suo soccorritore, ma che era anche un suo concorrente
nei commerci. La Britannia era, infatti ricca di stagno,
indispensabile per ottenere il bronzo fondendolo con il rame, e
Ulisse vi si recò per non ritornare a mani vuote, dopo dieci anni di
guerra, alla sua Itaca.
Questa
teoria era seduttiva e in parte credibile, ed aveva il grande
vantaggio di rendere di pura fantasia tutte le avventure raccontate
da Ulisse ad Alcinoo, e inoltre mi permetteva, pur non rinunciando al
mediterraneo, di non rompermi la testa cercando di far collimare le
peregrinazioni d'Odisseo, con la nota geografia mediterranea.
Lo
studio di Felice Vinci è di sicuro molto più articolato, serio e
documentato, e direi intrigante perché sembra mettere al loro posto
tanti pezzi di un puzzle che prima non volevano proprio trovare una
giusta collocazione, nonostante questo fatico ad accettare che mi
abbiano privato del tanto amato e inseguito Ulisse mediterraneo!
Alcune
considerazioni geografiche
Senza
voler entrare in una disquisizione, cui non ho le competenze, ci sono
alcune cose che di primo acchito mi hanno lasciato perplesso nella
pur completa e approfondita teoria espressa in Omero nel Baltico.
Da
navigatore trovo deboli le basi su cui Felice Vinci ha individuato
nelle Faerøerne l'isola
di Calipso, ed è da questo punto fisso che prende le mosse tutta la
successiva ricostruzione della geografia omerica nel Baltico;
ricordiamoci che Plutarco scrisse, come è riportato testualmente ne
Omero nel Baltico:
“l'isola
Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a lungo Ulisse prima di
consentirgli il ritorno ad
Itaca,
è situata nell'Atlantico del nord, a
cinque giorni di navigazione dalla
TAV
3 Rotte e distanze
Ebbene
se dal capo
Whath
in Scozia (Nord
ovest delle Scozia. n.d.a.)
volessimo navigare verso Sodhuroy,
che è l'isola ipotizzata essere l'Ogiggia omerica, dovremmo coprire
173 miglia nautiche con rotta vera 343°, in parole povere quasi
dritti per Nord!
Direzione
tutta differente dalle affermazioni di Plutarco che situa le isole a
Occidente della Britannia; riguardo ai cinque giorni di navigazione
la valutazione diviene più difficile, poiché non vi sono dati
precisi sulla velocità media delle navi onerarie romane del primo
secolo d.c., le uniche su cui Plutarco potesse fare delle congetture.
Sappiamo, però, che queste navi potevano tenere una media di oltre
6 nodi nella traversata tra Ostia e Alessandria d'Egitto, in presenza
di venti favorevoli. Nella parte di Atlantico del Nord di cui stiamo
parlando, nella stagione estiva non esistono venti predominanti, e
questi soffiano a una forza media 4 Beaufort, in modo quasi eguale da
tutti i quadranti; con un alternanza di venti favorevoli, rare calme
e venti contrari, è possibile ipotizzare, per una nave che
disponesse anche di propulsione a remi, una velocità media non
inferiore ai 2,5 nodi, equivalenti a 60 miglia nelle 24 ore, quindi
300 miglia in cinque giorni, quasi il doppio della distanza
dichiarata che separa il nord della Britannia dalle Faerøerne.
TAV
5 venti predominanti mare del nord
La
distanza di 173 miglia in cinque giorni, è invece troppo breve anche
per una nave del tempo, significherebbe, infatti, 30 miglia nelle 24
ore, ossia meno di 1,5 nodi, tempi poco probabili, anche se in mare
tutto è sempre possibile!
Tracciando
un cerchio con raggio di 300 miglia nautiche e centro sul Capo Whath,
non s'incontra nessuna terra verso ovest, e solo la Norvegia in
direzione Est, il cerchio s'avvicina, però, all'Islanda che si trova
a 446 miglia per 320°.
La
direzione, sebbene leggermente più a Ovest, resta in ogni modo
prevalentemente a Nord, ma la distanza per una nave del tempo di
Plutarco, in condizioni favorevoli è invece possibile, si
tratterebbe, infatti, di navigare a una ragionevole media di 3,8
nodi. In questo caso, però, diventerebbe più difficile fare
collimare i diciassette giorni e le diciassette notti in cui Omero fa
navigare Ulisse attraverso “l'abisso
di mare”,
prima su di una zattera e poi aggrappato a un tronco; vorrebbe dire,
infatti, che l'inclito marinaio navigò, da solo e su mezzi tanto
primitivi, alla media di quasi 2 nodi, e bisogna tenere conto anche
che le ultime circa 200 miglia le percorse alla deriva.
Inoltre
l'Islanda è troppo alta di latitudine
e
difficilmente doveva avere, nonostante le favorevoli condizioni
dell'optimum
climatico,
le condizioni climatiche abbastanza temperate descritte da Omero per
l'isola d'Ogiggia.
Le
uniche isole che si trovano a occidente del nord della Bitannia sono
le Ebridi, che però distano dalla costa solo 24 miglia e sono
incompatibili con le peregrinazioni d'Ulisse, sia per raggiungere
l'isola di Calipso, sia per lasciarla.
Mi
pare, in sostanza, che sia poco probabile individuare l'sola di
Calipso con le indicazioni date da Plutarco, che scriveva da una
distanza temporale enorme rispetto ai fatti Omerici, e che
probabilmente alla sua epoca, o non disponeva di dati geografici
precisi, o prese una grande cantonata!
Se
però si accetta l'identificazione dell'antica Ogiggia con la moderna
Sodhuroy,
la ricostruzione geografica, che fa Felice Vinci, della navigazione
d'Odisseo da Ogiggia alla terra dei Feaci (Norvegia
meridionale n.d.a.)
fino a Lyø, la presunta Itaca baltica, con qualche necessaria
forzatura è plausibile.
Come
avevo già detto, l'autore individua anche la supposta Troja in
corrispondenza di un villaggio della Finlandia meridionale che ha una
curiosa assonanza di nome: Toija, e che anch'essa, come la città
dell'Iliade, è situata su un modesto rilievo e circondata da da due
fiumi che vanno a sfociare nel mare, che però è a ben 40 chilometri
dalla città!
Sempre
in Finlandia, nella Carelia meridionale si trova un altro villaggio
con il medesimo nome, distante circa 64 chilometri dal mare; la
ridondanza del toponimo, fa nascere dei dubbi sulla relazione con la
presunta Troja omerica.
TAV 5 Troja nel Baltico, identificata con il villaggio di Toija
TAV 6 il sito archeologico di Trojia in Anatolia
La distanza dal mare della Troja di Schiliemann è, invece, di poco più di 4 chilometri, anche i due fiumi, lo Scanandro e il Simoenta sono facilmente individuabili, e il sito sembra essere ragionevolmente compatibile con quanto narrato nell'Iliade.
Pur
volendo credere in un considerevole ritiro del mare dai tempi
preistorici (come avvenuto in Mediterraneo), non torna però più, la
precisa corrispondenza tra le coste di Lyø e l'Itaca descritta da
Omero, cosi ben individuati dall'autore; con un mare più basso
Itaca sarebbe stata considerevolmente più grande, se non perfino
collegata alla vicina Fyøna, il braccio di mare che le separa ha,
infatti, una profondità modesta, attorno ai 12 metri, con un breve
affossamento a circa 22 metri!
Un
altro elemento che non mi ha convinto da subito nelle enunciazioni
del Vinci è, e cito testualmente:
“...
e Dulichio, l'isola "Lunga" ("dolichòs" in
greco) situata da Omero nei pressi di Itaca
ma
inesistente
nel Mediterraneo,
viene menzionata più volte, anche nell'Iliade.”
Tutti
coloro che hanno navigato lungo le coste della Dalmazia, conoscono
invece, molto bene Dougi
Otok, che
oltre ad essere fisicamente lunga, e quindi simile alla Langleand
Danese
(la
Dulichio omerica. n.d.a.),
ha di fatto il medesimo nome, di certo è relativamente lontana da
Itaca, però contraddice l'affermazione che in Mediterraneo non
esista un isola simile.
Alla
base di questa ricostruzione, come del resto di tutte le altre del
mondo Omerico, vi è sempre la presunzione che Omero, o chi per lui,
raccontasse fatti realmente accaduti e fosse anche un profondo
conoscitore della realtà geografica del mondo in cui erano
ambientati, e si finisce quasi sempre nel ripercorrere le orme degli
eroi omerici, quasi con il testo alla mano!
Abbiamo
però visto come anche le asserzioni di Plutarco, che pur scriveva in
una epoca storicamente molto più vicina alla nostra rispetto a
quella omerica, sia del tutto inaffidabile nelle sue ricostruzioni
geografiche; come possiamo pensare, allora, che Omero potesse invece
conoscere cosi bene la realtà geografica del Mediterraneo, tanto da
poter creare itinerari coerenti?
Non
sarebbe allora possibile pensare che Omero, avesse narrato le
avventure di un leggendario eroe dell'antica storia delle genti
achee, che si, s'erano spostate dal Nord al Mediterraneo, e qui
avevano in effetti combattuto una guerra come quella di Troja, ma le
avventure di Ulisse, che prendono le mosse dal fatto storico di Troja
- storia quasi certamente raccontata da un altro cantore - siano
invece un puro racconto fantastico, in cui effettivamente vengono a
volte inseriti elementi delle leggende nordiche, senza nessuna
pretesa d'esattezza geografica, ma evidentemente inserendovi
notazioni tipiche di quelle regioni; come il clima freddo, la nebbia,
l'ampio uso di dritti pali d'abete e molte altre cose giustamente
rimarcate dall'autore d'Omero
nel Baltico.
Questa
interpretazione mi piace, perché così posso continuare a immaginare
Ulisse in Mediterraneo, anche se con alcune puntate al Nord, e mi
sento meno defraudato!
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